Cosa vedere - prima parte

ertoecasso.it il portale di Erto e Casso!

Con il patrocinio del Comune di Erto e Casso stemmadel comunedi Erto e Casso

Questa pagina vi guiderà attraverso le stradine di Erto, permettendovi di vedere ciò che prima era nascosto ai vostri occhi!

Vai alla 2ᵃ parte»


La Chiesa Maggiore di San Bartolomeo Apostolo.

Si erge nel centro storico di Erto e al suo interno è custodita una scultura del Santo a dimensione naturale.

Conservava opere ora perdute: statue di santi e della Madonna e una splendida Via Crucis formata da quattordici pannelli di pino cembro intagliati dal maestro di Ortisei Ermanno Moroder.

Anticamente, sopra l’altar maggiore era posto un capolavoro dell’arte italiana: un Cristo realizzato dal celebre artista bellunese Andrea Brustolón. Alto un metro, scolpito in legno nero levigato come avorio.

Oggi l’originale è stato sostituito da una copia a causa dei furti che si sono susseguiti negli anni.

Gli altari dell’interno sono stati lavorati da artigiani locali usando il marmo ramello di Erto, proveniente dalla cava Buscada, ai piedi del Monte Palazza.

Prima dei restauri più recenti, al centro si trovava una colonna in pietra. Indicava la tomba di un sacerdote. Successivamente la colonna è stata rimossa e collocata nel cimitero di Erto.

Un’altra caratteristica unica della struttura è la pavimentazione assemblata usando lastre di pietra rossa provenienti dai Libri di San Daniele, sul monte Borgà.

Lastroni di un metro e mezzo per un metro, spessi oltre trenta centimetri, che gli ertani trasportarono dalla montagna, aiutandosi con rudimentali slitte di legno. Un’impresa altamente rischiosa e pericolosa.

Scendere i pendii ripidi del Borgà con un carico così pesante metterebbe a dura prova anche i più coraggiosi e preparati. Purtroppo un ertano morì schiacciato proprio da una di quelle lastre durante il trasporto a valle.

Chiesa e campanile
la Chiesa e il campanile, al centro di Via Roma.

Il campanile.

Durate il riassetto urbano di Erto del ‘900 il campanile venne demolito e spostato di qualche decina di metri, in modo da permettere il passaggio dell’attuale via carrozzabile, che attraversa il Centro Storico.

Una leggenda narra che il campanile abbia svolto funzione di “palestra di roccia”. Sui suoi lati di pietre sporgenti si allenavano, arrampicandosi fino in cima, i giovani scalatori ertani.

I rintocchi delle campane, che venivano suonate a mano con l’uso di corde, emettevano diversi suoni a seconda della ricorrenza.
L’Ave Maria del mattino e della sera, al campanòt (rintocco cadenzato riservato a solenni festività), la sciampàna a matrél (per avvisare in caso di emergenze), al piòvego (suono per la manodopera obbligatoria). La sciampàna da mòrt invece era il triste suono dell’agonia. I rintocchi per i defunti infine erano diversi per gli uomini, le donne e i bambini. Durante la giornata dei morti le campane suonavano per tutta la notte.

La porta degli uomini.


La porta laterale della chiesa, posta sul lato che guarda il lago del Vajont, un tempo era l’ingresso riservato agli uomini di Erto.

Le donne potevano accedere al santuario tramite l’entrata principale e occupavano esclusivamente i banchi nella prima metà della navata centrale.

I maschi invece, accedendo dalla porta di lato, prendevano posto nella seconda metà della navata, davanti alle donne che fino a pochi decenni fa entravano nel tempio con un velo che copriva loro i capelli, in segno di rispetto.

Una regola non certo nata per relegare le signore in secondo piano. Piuttosto evitava che gli uomini le guardassero e, in qualche modo, cadessero in tentazione o fossero attraversati da pensieri impuri durante la messa o le cerimonie.

La porta laterale e la canonica
L'entrata degli uomini e la Canonica.

La canonica.

La canonica, anticamente, era l’edificio in cui si radunava la Vicìnia.

La Vicìnia era un’assemblea dei capofamiglia di Erto riuniti. Un incontro dalle caratteristiche “ufficiali” in cui si discuteva su tutto ciò che riguardava la comunità, venivano prese decisioni importanti di carattere pubblico e privato e concordati patti fra i vari “fuochi” (nuclei famigliari) rappresentati dai capo famiglia.

La parola Vicìnia deriva dal latino vicus, villaggio, e definisce gli abitanti della villa. Non è un caso infatti che questa canonica sia l’unico edificio del paese costruito sulla foggia di villa veneta.

Oltre a presentare decorazioni interne che le altre case non avevano, essa era caratterizzata da grandi e numerose finestre, ampie sale prive di buse dal fèuc (buche del fuoco), un caminetto in pietra e nessun locale destinato alla cucina.

L’edificio in origine apparteneva a una famiglia veneziana che commerciava il legname di Erto.


La chiesa di San Rocco.

Si trova in uno spiazzo erboso lungo il sentiero che corre sotto al cimitero. In questa zona, che si affaccia verso il lago del Vajont, c’era un tempo una fila di faggi secolari chiamati i faggi di San Rocco. Furono tagliati dopo la guerra, in un inverno incredibilmente freddo, gelido e maestoso.

La chiesetta è un tempietto dall’aria accogliente. Le sue facciate, in tempi lontani, portavano i segni della devozione e della speranza degli ertani: su di esse infatti erano incisi centinaia di ex voto, preghiere, invocazioni, ringraziamenti, dediche, rifiuti e richieste e perfino bestemmie.
Alcuni anni fa le facciate furono restaurate e ridipinte di bianco, cancellando per sempre quelle testimonianze disperate o felici, devote o blasfemi.

È da sempre molto cara agli abitanti di Erto e quelle incisioni dimostravano l’affetto e la dedizione (nonostante, a volte, la rabbia) che la sacralità del santuario ispirava loro.

Vi si potevano trovare opere lignee realizzate dai maestri di Ortisei in Val Gardena. Rappresentavano santi, angeli, la Madonna, fiori e nuvole. Una notte di tanti anni fa le sculture furono rubate assieme a tutto ciò che si poteva spostare. I ladri sono rimasti ignoti.

San Rocco e Beorscia
Le Chiesette si possono incrociare percorrendo la pista ciclabile di Erto.

La chiesa e la fontana di Beórscia.

Percorrendo la pista ciclabile che si sviluppa nella parte bassa del paese, più o meno a metà si incontreranno una chiesetta e una fontana vicine. Il nome della piccola piana che le ospita è Beórscia, e il luogo dà il suo nome sia al santuario che alla fonte. Fu costruita in anni remoti, e conserva la linearità e la compostezza delle antiche costruzioni di montagna.
In passato, tutti gli abitanti di Erto che transitavano davanti alle loro chiese si facevano il segno della croce. Era un’abitudine che gli anziani insegnavano ai più giovani.
I ragazzini però benedivano la chiesa di Beórscia soltanto d’inverno, quando scivolavano con le slitte lungo i sassi innevati della stradina.
Vi si accede salendo pochi gradini posti sotto un portico. Al suo interno essa conserva soltanto un altare scarno.
Oggi nessuno vi entra più e la campana sistemata sulla cima del tetto non suona da molto tempo.
Poco lontano le tiene compagnia la vecchia fontana, caratterizzata da un arco formato da cunei di pietra.

Beórscia era il luogo di passaggio dove la gente arrivava dai mulini di Piancuèrt, situati nel fondovalle, e faceva una pausa prima di proseguire verso il paese.

Questo era anche un punto del circuito delle rogazioni di Erto. Si trattava di processioni propiziatorie che, attraverso la benedizione dei terreni da parte di funzionari ecclesiastici, avevano lo scopo di augurare una buona riuscita delle seminagioni.


Il cimitero e gli ertani volanti.

Attorno ai muri interni del cimitero si possono ammirare diverse lapidi scolpite da tagliapietre locali. Fra le più curiose e belle risalta quella che raffigura un cacciatore armato di carabina con camoscio e stelle alpine.

L’entrata del camposanto, in passato, dava sulla strada principale, sottostante l’attuale, detta “la Vecchia Postale”.

A fianco del camposanto vi è ora un ampio parcheggio.

Proprio in quel punto terminava uno dei principali fili a sbalzo di Erto, che partiva dalle montagne al di là della valle, su un’altura chiamata Cavaitìn. Il filo a sbalzo è un particolare sistema di trasporto materiali che collega due punti (uno a monte e uno a valle distanti fra loro anche molte centinaia di metri) mediante un cavo di acciaio teso fra le due postazioni (palòrci). Si distingue una postazione di partenza posizionata a una quota maggiore rispetto a quella di arrivo. Lo scopo è quello di agganciare al cavo carichi di materiali di diverso genere (legna, fieno) per farli scorrere velocemente verso destinazione.

Spesso a Erto, per risparmiare tempo, capitava che i boscaioli, e anche le donne che li aiutavano, si lanciassero agganciati al cavo fino ad arrivare in paese. Questi coraggiosi “ertani volanti” usavano una tòrta, una corda a mo’ di seggiola stretta fra le gambe, mentre per regolare la velocità della corsa usavano il pic, un ramo a forma di gancio capace di attanagliare il cavo e resistere all’attrito.

Da questo punto inoltre, si può osservare un tratto dell’enorme frana che si è staccata dalle pendici settentrionali del monte Tóc la notte del 9 ottobre 1963. Il distacco, dalla caratteristica forma a “emme”, copre una lunghezza di oltre due chilometri.